L’esercizio provvisorio, previsto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, è la prosecuzione temporanea dell’attività aziendale anche dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, autorizzata dal tribunale. Non mira a salvare l’impresa a ogni costo, ma a preservarne il valore evitando una svendita disordinata. Secondo Marcello Tarabusi, dottore commercialista e figura di riferimento nelle procedure concorsuali, è uno strumento per valorizzare l’azienda come organismo funzionante, capace di attrarre investitori o acquirenti.
L’esercizio provvisorio consente di:
Il Codice della Crisi ridefinisce il curatore da semplice liquidatore a gestore temporaneo d’impresa. Deve proporre e gestire l’esercizio provvisorio, assumendo responsabilità strategiche: coordinare il personale, gestire risorse, valutare il mercato. Servono quindi competenze giuridiche, economiche e manageriali.
L’esercizio provvisorio va autorizzato dal tribunale, previa valutazione della sua sostenibilità economica e strategica. È vantaggioso quando:
La presenza di un potenziale acquirente, il cosiddetto cavaliere bianco, può rafforzare la convenienza dell’esercizio provvisorio, traghettando l’impresa verso una cessione unitaria.
Non mancano i rischi:
aggravamento del passivo, gestione inefficace, carenza di risorse finanziarie. Il curatore deve pianificare con attenzione, stimare costi e flussi, e garantire trasparenza verso il giudice e i creditori.
L’esercizio provvisorio è un’opportunità preziosa per evitare la dispersione del valore aziendale. Non è una soluzione universale, ma se ben gestito può rappresentare una via sostenibile per la continuità o la valorizzazione industriale. Come afferma Tarabusi, “la crisi può diventare uno snodo per soluzioni intelligenti, se guidate da visione e competenza.”